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Sulla molestia

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C'è un problema di fondo, con le molestie, e quel problema è insito nella natura stessa degli esseri umani, io credo, se non di tutti gli esseri viventi: la selettività , che ci impedisce di considerare allo stesso modo tutti gli atteggiamenti e tutte le circostanze.  Fatta eccezione per qualsiasi forma di violenza, infatti, non esiste una molestia che sia tale sempre e in assoluto. Una secchiata d'acqua fresca in faccia infastidisce o addirittura fa male a gennaio e può essere gradita in pieno agosto, ma non esiste una regola incontrovertibile per cui chiunque prenda in mano un secchio e lo riempia d'acqua possa essere certo di non molestare chi lo ricevesse in faccia, 30 o 3 gradi che ci siano nell'aria. Lo stesso vale per tutto il resto: sguardi, sorrisi, parole, gesti e qualunque forma di considerazione o interazione con gli altri. Combattere le molestie richiede probabilmente un livello di inflessibilità e una rigidità che non ci appartengono e che non sono umani.

Vorremmo tutti morire di vecchiaia

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  Vorremmo tutti morire di vecchiaia, sereni, in buona salute, durante il sonno e senza accorgercene. A molti questa opportunità sarebbe anche offerta, ma c'è un piccolo dettaglio a rovinare l'idillio: vorremmo ovviamente che questo accadesse il più tardi possibile, cosa che stiamo addirittura ottenendo: in 50 anni l'aspettativa di vita è aumentata di oltre 10, dai 71,5 del 1970 agli 83,2 del 2017, ma non si tratta di un miracolo. Ad aiutare gran parte di chi si avvicina o supera quella soglia è la scienza e in particolare la farmacologia, che rallenta notevolmente il processo di invecchiamento dei nostri organi e del nostro corpo dandoci l'illusione di essere in ottima forma, anche se senza i nostri farmaci non andremmo troppo lontano. Questi, infatti, in molti casi non curano le nostre sopravvenute insufficienze, ma le compensano, consentendoci di non morire anzitempo. Ed è qui che casca un bell'asino: cosa significa morire anzitempo? Significa andarsene prima di

𝗥𝗶𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲𝘁𝗲 𝗮 𝗽𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗹𝗮 𝗰𝗮𝗻𝗱𝗲𝗹𝗮...

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Sapete cos'è che non sopportiamo più e che ci mette addosso un continuo e latente senso di disagio? È la strumentalizzazione esasperata, io credo.  Mentre una parte del mondo va dritta verso la sua meta, fatta di progressi tecnologici sempre più rapidi e pervasivi, e mentre una piccolissima fetta dell'umanità punta con quei progressi alla colonizzazione dello spazio e alla conquista di Marte, nuova terra tutta da costruire e da sfruttare (senza che nessun ambientalista venga a rompere i coglioni), la stragrande maggioranza delle persone non ha più altro scopo che quello di perseguire i propri piccoli e miseri interessi in ogni modo possibile. Questo individualismo esasperato è la vera novità del terzo millennio. In passato anche i più egocentrici megalomani davano il meglio di sé (o il peggio, a seconda dei punti di vista) per lasciare traccia del proprio passaggio sul Pianeta. Ovviamente anche le loro erano bieche strumentalizzazioni, ma i frutti di quelle antiche megalomanie

Linguaggio di genere: una battaglia da vincere, senza fretta e con meno vittime possibile

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Alert: mansplaining! Quelle che seguono sono le opinioni, personali e ovviamente non vicolanti, di un uomo di (abbondante) mezza età, felicemente sposato, senza figli, bianco, moderatamente agiato 1 e profondamente disgustato da molteplici aspetti del pluriennale dibattito sul linguaggio di genere e sulla declinazione al femminile di professioni, mestieri e titoli. Opinioni che non hanno alcuna pretesa e che non hanno l'obiettivo di offendere o di accusare nessun*, ma semplicemente l'ambizione di stimolare ulteriori riflessioni su un argomento complesso e troppo di tendenza, per non produrre molto rumore di fondo e strumentalizzazioni di ogni genere. Stavo portando avanti un lungo e improduttivo scambio al riguardo, sui social, quando è imperversata sul palco del Festival di Sanremo la roboante opinione di Beatrice Venezi, che ha sollevato un incredibile vespaio di polemiche e deluso molt*. Chiarisco immediatamente: sono perfettamente consapevole che, non soltanto dal punto

Lockdown Italy: non è uno stop e non siamo nemmeno in folle

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Il termine lockdown è usato solitamente nel contesto carcerario, per definire uno stato di isolamento dei prigionieri in funzione della loro pericolosità o di misure punitive particolarmente ferree. Uno stato che in Italia, da anni, associamo al regime carcerario 41 bis, una misura introdotta nel 1975, inizialmente per far fronte alle rivolte all'interno delle prigioni, e poi estesa alla detenzione dei boss mafiosi nel periodo dei maxi processi. Questo regime, detto anche “carcere duro”, ha ben poco a che vedere con quanto stiamo affrontando ormai da un mese, in Italia e in molte altre nazioni in tutto il mondo. Posto che l'applicazione del lockdown varia, anche di molto, da un Paese all'altro e da una zona all'altra in funzione del livello di contagio del virus, qui da noi questa misura è quanto di più lontano si possa immaginare da uno stato detentivo. La quarantena del nostro Paese è infatti una condizione estremamente variabile e soggetta a molteplici derogh

Il coraggio di pensare non costa soldi

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Dobbiamo stare fermi e ragionare. Fermi, non paralizzati dal terrore e dallo sgomento. La paura, il dolore, l'ansia di questi giorni non possono impedirci di pensare, di esplorare, di sforzarci di capire. Prima di tutto noi stessi. Chi ora non sta più lavorando ha la percezione che questi siano giorni buttati via, improduttivi e sterili, ma non è così. Sono invece la prova inconfutabile che il tempo non è denaro e che i soldi non sono la risposta a tutte le domande. Servono, certo. Come oggi servono mascherine, guanti, disinfettanti, carta igienica e tante altre cose che infatti sono introvabili. Perché? Per quale motivo abbiamo riempito i nostri "granai" di oggetti che oggi, in questo momento terribile (ma niente affatto nuovo e imprevedibile) non ci servono a niente? Perché un virus maledetto sta facendo molti più danni di quanti non ne fecero la peste, il colera o le altre epidemie del passato, nonostante i progressi tecnologici e la migliore struttura e organi

Io inquino

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Io inquino. Non lo faccio apposta, non vorrei, eppure inquino. Ogni tanto me ne accorgo e allora mi sento un po' più consapevole e pronto a fare la mia parte, ma poi tutto torna come prima. Come sempre. Io inquino, sì. Lo faccio anche quando non me ne rendo conto e lo faccio con pochissimi sensi di colpa, perché la mia percezione è quella di essere un inquinatore per lo più passivo e l'impatto delle mie azioni quasi sempre mi sfugge. O comunque non saprei come limitarlo, a parte le piccole cose che più o meno tutti facciamo. Eppure inquino molto più di quanto io possa immaginare e lo faccio anche quando mi sposto a piedi, quando mi riposo sul divano e addirittura quando dormo. Inquino anche nei sogni... Certo, perché ogni cosa che faccio inquina. I miei vestiti, il modo in cui li lavo, il cibo che mangio e il modo in cui lo cucino. Inquino anche quando mangio cibi non cucinati, quando li compro senza imballaggio e quando ciò che compro è garantito a chilometro zero