Pochi metri, pochi attimi, poca maledetta paura

A mente fredda e nel giorno in cui a Marsiglia un'altra automobile provoca morte e dolore tra la gente, provo a tornare con un filo di lucidità sui fatti del 17 agosto a Barcellona. Quando quel furgone si è lanciato sulla gente che passeggiava sulla Rambla, intorno alle 17 di un pomeriggio d'estate come tanti, io mi ero da poco spostato a circa un chilometro più in là, davanti a Casa Batlló, uno dei capolavori di Antoni Gaudí. Abbastanza lontano per non sentire le urla e per non vedere il sangue, ma tuttavia non al sicuro, come nei minuti e nei giorni successivi ho lentamente capito.

Seduto su una panchina con mia moglie e un'amica, siamo stati catturati dalle sirene spiegate dei Mossos D'Esquadra, la polizia catalana, da quelle delle ambulanze e dal rumore degli elicotteri che hanno iniziato a sorvolare la zona, indicandoci chiaramente che qualcosa stava andando storto, nelle vicinanze.


Abbiamo allora aperto Twitter e siamo riusciti a capire che ci doveva essere stato un grave incidente o addirittura un attentato sulla Rambla, ma siamo rimasti seduti lì, su quella panchina, ad aspettare che le cose fossero più chiare e che capissimo cos'era meglio fare. Vista con lucidità, ora che sappiamo un po' meglio come sono andate le cose, restare seduti su una panchina davanti ad un monumento famoso in tutto il mondo e su una strada affollata non era certo la scelta migliore e nemmeno la più saggia, ma in quel momento non sentivamo addosso la spinta di un pericolo imminente. C'era tanta gente, nessuno sembrava preoccupato, le sirene passavano oltre e nessuno ci invitava ad andar via o a metterci al riparo. Inoltre non c'era nessun poliziotto, lì davanti e nulla dava ad intendere che potesse essere pericoloso.

Eppure pochi minuti dopo siamo dovuti fuggire via da quella panchina e rifugiarci dentro Casa Batlló, perché dalla direzione delle ramblas una folla impaurita correva via urlando. È solo allora che ho iniziato ad aver paura. Poca maledetta e tutt'altro che irrazionale paura. In un attimo abbiamo dovuto prendere la prima decisione importante della serata: metterci a correre insieme agli altri, rischiando di finire in terra ed essere calpestati, oppure tagliargli la strada e infilarci in un luogo chiuso? Alla fine avremmo capito di aver fatto forse la scelta più giusta, ma se tutta quella gente si fosse infilata dentro Casa Batlló, come avevamo fatto noi, probabilmente saremmo rimasti schiacciati. In poco tempo, tuttavia, l'atrio del palazzo ha iniziato a riempirsi e così abbiamo deciso di uscire fuori, dove tutto sembrava essere tornato ad una surreale normalità.
Cosa fare, adesso? Io che vengo dalla Roma degli anni di piombo, in cui da ragazzino ero letteralmente terrorizzato dai terroristi e dalle bombe, nonostante tutto continuavo a non ritenere che quegli attentatori rappresentassero un pericolo anche per noi. Non temevo i terroristi, ma ero impaurito dalla gente, tanto che alla fine abbiamo iniziato a muoverci per vie traverse, evitando la folla. Anche questa, probabilmente, non era la scelta più saggia, ma in un momento come quello la lucidità ti abbandona e cerchi una via di fuga analizzando alla meglio i pochi dati di cui disponi.

Io continuavo ad aggiornare Twitter in modo compulsivo, sembrava che i terroristi fossero asserragliati in un bar o in un ristorante al Mercat de la Boqueria, dove avevamo pranzato solo poche ore prima, in mezzo ad un'altra folla oceanica. Cosa dovevamo fare, adesso? Un'amica di Barcellona ci ha suggerito di prendere un taxi e tornare così alla nostra macchina, che al mattino avevamo parcheggiato in periferia, in prossimità di una stazione della metro a più di 8 chilometri di distanza da dove ora ci trovavamo, ma di Taxi disponibili non ce n'erano. Allora ci ha accompagnati ad un autobus, che abbiamo preso come se fosse una scialuppa di salvataggio in mezzo al mare in tempesta, ma una volta arrivati sulla Diagonal, la strada che taglia in due Barcellona, ci siamo resi conto che anche quella dell'autobus poteva non essere stata una grande idea.

La strada era bloccata dal traffico e c'erano posti di blocco ad ogni incrocio e poliziotti armati lungo tutta la strada. Avremmo poi saputo che su questa via era stato forzato un posto di blocco e che il proprietario della macchina usata per scappare era stato ucciso, da uno degli attentatori o da un delinquente comune, per prendersi la macchina e tentare la fuga, proprio sulla Diagonal. Ancora a pochi metri da noi, ancora pochi attimi prima che il nostro autobus passasse da lì, ancora con poca e maledetta paura addosso, perché quella grande, il terrore, ha bisogno di spari, di urla, di sangue davanti ai tuoi occhi o sulla tua maglietta per accendersi, mentre la paura strisciante è lì con te a farti compagnia mentre cerchi di capire cosa fare, dove andare, come muoverti.
Ecco, il terrorismo è un'arma terribile perché riesce ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Nel caso di Barcellona si è trattato di un furgone preso a noleggio e di un po' di logistica, non troppo diversa e costosa di quella messa in moto da un qualsiasi turista, compresi noi stessi e quelli più sfortunati di noi che sulla Rambla hanno trovato la morte.

Quello del 17 agosto a Barcellona è solamente uno dei tanti attentati che stanno sconvolgendo l'Europa e il mondo occidentale, che ho avuto la sfortuna di incrociare sul cammino delle mie vacanze e la fortuna di poter raccontare, oggi, a mente lucida, nelle stesse ore in cui le autorità spagnole diramano le foto del presunto guidatore del furgone.

Queste righe servono a me, per spingere fuori quello che ho ancora dentro e che non se ne andrà, ma spero che possano anche servire a chi ha sempre guardato questi orribili attentati da fuori, da lontano, in TV o sui giornali. Visti da dentro, da vicino, sono molto diversi da quello che si può immaginare. Al ritorno in albergo io non ero affatto terrorizzato. Ero stanco, perché l'autobus ci aveva poi lasciati a due chilometri e mezzo dalla macchina, in periferia, in una città sconosciuta e in un momento in cui qualsiasi delinquente comune avrebbe potuto approfittare per derubarci o per farci del male. Ero stanco e ancora in preda a quella maledetta paura strisciante: un misto tra ansia, angoscia, fragilità e profonda tristezza.

Ma nonostante lo sgomento, la frustrazione per essere stati mollati da quell'autobus, cui era stato ordinato di rientrare in deposito (così ci ha detto l'autista scusandosi nel farci scendere), la mia sola ed unica paura era ancora legata a quella folla: quel mare di gente impazzita su cui i terroristi di qualsiasi genere e causa fanno affidamento per la buona riuscita delle loro azioni.

È proprio quella folla di gente che li spinge a mettersi una cintura esplosiva o a lanciarsi con un mezzo tra le persone. La loro azione scellerata non colpirà mai migliaia di persone e non ci vorranno costosi caccia bombardieri o carri armati, per ottenere il risultato che cercano. Esso, io credo, non è insito nel numero di morti o di feriti fatti nei singoli episodi, ma in quella maledetta paura strisciante e irrazionale che rende miliardi di persone a loro volta vittime, oltre che potenziali complici.

Basta vedere quello che è successo a Torino la sera della finale della Champions League, per capire che la vera arma dei terroristi è proprio quel filo di paura, strisciante e sempre presente, in modo più o meno consapevole. Un filo che può essere tirato a distanza, senza confini, senza limiti, senza bisogno di grandi organizzazioni o di armi costose e difficili da reperire. Addirittura soltanto urlando "c'è una bomba!" in mezzo ad una piazza affollata, espediente che mi stupisce non sia ancora stato usato, da una feccia che evidentemente predilige le azioni vere, concrete, tangibili.

Credo di averlo scritto più volte e in più occasioni: il terrorismo vive di paura e di ribalta mediatica. Senza questi due ingredienti fondamentali non avrebbe ragione di esistere ed è per questo che se vogliamo davvero combatterlo dobbiamo guardarci dentro e capire cosa c'è che non funziona nel nostro modello, nel nostro sistema e in noi stessi, prima ancora che sospettare di ogni faccia per strada che ci sembra compatibile con la nostra idea di terrorista.

Questo ragazzo di 22 anni, ad esempio, la faccia da terrorista non ce l'ha. Eppure è ricercato in tutto il mondo perché sospettato di essere il terrorista che guidava il furgone di Barcellona. A me questa faccia non fa paura, dobbiamo ripeterci, continuando a fare quello che abbiamo sempre fatto e togliendo ai potenziali futuri terroristi uno degli ingredienti fondamentali del loro orribile operato: la paura. Almeno quella irrazionale e sciocca. Quando ti trovi nel mezzo dell'azione e del pericolo la paura è sacrosanta e se mantieni almeno un filo di lucidità può salvarti la vita. Ma la paura che cercano i terroristi è invece quella che ti fa credere che essi siano molti più di quelli che sono e che rappresentino per te un pericolo costante e concreto. È questa la paura che dobbiamo sconfiggere.

Quando quel filo di paura vi coglie, ragionate sui numeri, sulle statistiche, sulle percentuali. Si muore molto di più per banali incidenti o per malattia, che per terrorismo. Si muore più nelle liti familiari o tra amici, si muore o si resta feriti cambiando lampadine in casa o facendosi la doccia. Si muore per infiniti motivi e non dobbiamo lasciare che un manipolo di persone, quali che siano i loro ideali e le loro motivazioni, alimentino le nostre paure con le loro gesta.

Chiediamoci piuttosto: funziona davvero una società in cui basta un gruppetto di ragazzini invasati, come quelli di Barcellona (sembra fossero una dozzina in tutto, di giovanissima età), per mettere in scacco una città, una nazione e tutta l'Europa? È ammissibile che un'area come quella delle ramblas, con auto che passano a destra e a sinistra di un'affollatissima area pedonale, non sia protetta nemmeno da banali paracarro? Sopporteremo (e supporteremo) ancora a lungo il delirio dei media, che sugli attentati, sul terrorismo e le catastrofi restano a galla e si arricchiscono?

La paura non serve a niente di fronte a un pericolo potenziale. Essa è vitale quando il pericolo si presenta, ma prima e dopo serve solamente una cosa: la razionalità. Usiamola e smettiamola di piangerci addosso, perché la paura e le lacrime sono benzina sul fuoco di chi sa che basta davvero poco, per far male alle singole persone e all'intera società.

P.S. No, non ho fatto nessuna foto di quei momenti. Non ho fotografato la polizia, le ambulanze, la gente che scappava. Non ho fatto foto né ho filmato nulla, cosa che ora un po' mi sorprende, ma che non mi dispiace affatto. Evidentemente pur nella confusione e nella scarsa lucidità devo aver dato peso e senso alle cose che contano davvero, come ragionare e cercare di venirne fuori.

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